Informazione: ancora una volta, ancora di più, è questa la parola d'ordine per preservare la propria salute. E “Manteniamoci informate” è lo slogan che per il terzo anno segna la campagna di sensibilizzazione e, appunto, informazione sul tumore ovarico ideata e realizzata da Pro Format Comunicazione e Mad Owl, editore di HealthDesk, in collaborazione con le Associazioni aBRCAdabra onlus, Acto, Loto e Mai più Sole. Il progetto, sponsorizzato in esclusiva da GSK, è stato presentato martedì 12 luglio in una conferenza stampa a Milano.
Sono sempre di più le cose che la ricerca scientifica scopre su questi tumori femminili particolarmente aggressivi che ogni anno colpiscono in Italia oltre 5.200 donne: test genetici, su tessuto e germinale, che permettono di rilevare le mutazioni BRCA 1 e 2 e di accertarne il carattere ereditario, per attivare sorveglianza e prevenzione sui familiari delle pazienti; terapie di mantenimento che aumentano il tempo libero da malattia e sono efficaci su tutte le pazienti che rispondono al platino, con o senza mutazioni; chirurgia sempre più precisa e meno invasiva; la conoscenza dei sintomi, che può accelerare la diagnosi e fare la differenza nella sopravvivenza a cinque anni che oggi può essere raggiunta da una quota dal 60 al 90% dei casi se il tumore ovarico è diagnosticato in fase iniziale.
Quest'anno la campagna dà la parola direttamente alle donne: pazienti delle Associazioni promotrici dell'iniziativa, che si sono già confrontate con la diagnosi di tumore ovarico, condividono consigli ed esperienze sul percorso di cura attraverso videomessaggi “da donna a donna” veicolati sul www.manteniamociinformate.it; otto brevi video dedicati ad aspetti chiave come la scoperta della malattia, il rapporto con i medici, le risorse che aiutano a ritrovare la qualità di vita.
A questa iniziativa si affiancheranno nel corso dei prossimi mesi eventi sul territorio, attività d’informazione negli ambulatori onco-ginecologici, campagne informative digital e social che potranno avvalersi delle illustrazioni del visual designer Gaetano Di Mambro. L’obiettivo primario resta quello di accrescere l’informazione su questa malattia che, a causa di sintomi non specifici o non riconosciuti, in circa il 70% dei casi viene diagnosticata in fase già avanzata, quando le possibilità, non solo di guarigione, ma anche di cura sono più limitate.
«Solo una buona conoscenza di questo tumore e dei suoi sintomi può facilitare una diagnosi tempestiva» sottolinea infatti Nicoletta Cerana, presidente di Acto. Sensazione di sazietà anche a stomaco vuoto, difficoltà di digestione, fitte addominali, gonfiore e tensione addominale, diarrea o stipsi improvvise sono segnali che, se frequenti e ripetuti, vanno subito segnalati al proprio ginecologo per una visita specialistica e un’ecografia transvaginale. E, in caso di sospetto, bisogna prendere contatti con un Centro di riferimento. «Diagnosticare e trattare un carcinoma ovarico all’interno di uno dei numerosi Centri di eccellenza per il tumore ovarico e i tumori ginecologici per la paziente è una garanzia di qualità e sicurezza» assicura Cerana. Perciò il sito dell'Associazione (www.acto-italia.org) contiene tutti i riferimenti utili per trovare nella propria Regione il Centro di riferimento per i tumori ginecologici più vicino alla propria residenza.
L’altra opportunità di anticipare la diagnosi è legata allo studio della familiarità, in particolare alla presenza di mutazioni ereditarie come quelle BRCA 1 e 2. Il 25% circa dei tumori ovarici è di origine genetico-ereditaria. Il test su tessuto (somatico) permette di sapere se una donna è portatrice o meno di una mutazione del gene BRCA, ma, secondo un’indagine GSK eseguita su cinquanta oncologi italiani, il 40% delle pazienti risultate positive per queste mutazioni non esegue il secondo test, quello germinale, l’unico in grado di stabilirne il carattere ereditario.
«È importante ricordare che il test BRCA ha sempre una duplice valenza: terapeutica e preventiva» spiega Liliana Varesco, medico genetista del Centro Tumori ereditari dell'ospedale San Martino di Genova. I test BRCA servono infatti sia per meglio indirizzare le terapie sia per impostare programmi di prevenzione nei familiari. Con il test somatico, vale a dire l’analisi del tessuto tumorale, si individua l'eventuale mutazione con l’obiettivo di scegliere la terapia più adatta. Ma le mutazioni somatiche sono circoscritte alle cellule tumorali mentre le mutazioni ereditate sono presenti in tutte le cellule dell’individuo. Solo attraverso il test germinale attraverso un semplice prelievo di sangue si può valutare se la mutazione sia presente in tutte le cellule e quindi ereditata dai genitori e trasmissibile ai figli. «Per questo – raccomanda Varesco - in caso di positività al test somatico BRCA, andrebbe eseguito anche il test germinale, in modo da attivare tutto il sistema di prevenzione».
In futuro, agli attuali test molecolari potrà subentrare il Comprehensive Genomic Profiling, che permette di esaminare contemporaneamente molti tipi di alterazioni genetiche, offrendo un quadro complessivo del genoma tumorale.
Aumentare la conoscenza delle opportunità legate ai test genetici è sin dall’inizio uno degli obiettivi della campagna “Tumore Ovarico. Manteniamoci informate!”: «Le donne purtroppo ancora sanno troppo poco o niente di test genetici. Solo se si entra in un percorso di malattia – osserva Fabrizia Galli, vicepresidente di aBRCAdabra onlus – allora si parla di test genetici e della possibilità di una mutazione genetica BRCA 1 o 2. Ancora meno chiara è la differenza tra BRCA somatico e germinale e l’importanza di sottoporsi al secondo in caso di positività del primo per la prevenzione rispetto ai familiari. Sapere di essere portatrici di una mutazione genetica BRCA crea nella donna una reazione di paura e sgomento – dice Galli - seguita da sentimenti di ansia legata alla preoccupazione per i propri figli: il test BRCA germinale è l’unica risorsa per sapere se si è trasmessa la mutazione genetica ai propri figli, con i rischi che comporta ma anche con l’opportunità di agire in chiave preventiva».
L’informazione su questa neoplasia è fondamentale non solo perché oggi non disponiamo di screening specifici ma anche perché lo scenario è in evoluzione sia sul fronte della terapia sia su quello della chirurgia. Una delle novità più importanti di questi anni è la possibilità per tutte le donne, con o senza mutazioni, di accedere alle terapie di mantenimento, che permettono di allontanare le ricadute dopo chemioterapia. Questi trattamenti «hanno dimostrato di migliorare la sopravvivenza libera da progressione, cioè il tempo in cui la paziente vive senza avere ritorno della malattia – conferma Nicoletta Colombo, direttore della Ginecologia oncologica medica all'Istituto europeo di oncologia di Milano – e non determinano un impatto negativo sulla qualità di vita. I farmaci utilizzati nelle terapie di mantenimento, i PARP-inibitori, agiscono su un meccanismo di riparazione del Dna. Questo tipo di terapia si è dimostrato molto efficace soprattutto nelle pazienti portatrici di mutazioni genetiche BRCA 1 e 2, che predispongono all’insorgenza del tumore ovarico. Però si è visto che anche chi non ha la mutazione genetica può rispondere bene a questi farmaci e averne un beneficio».
La chirurgia rimane comunque la terapia d’elezione nella maggior parte dei casi di tumore ovarico. Anche in questo campo le cose stanno cambiando: «Oggi si possono ridurre molto le complicanze della chirurgia per il tumore ovarico grazie a una selezione accurata delle pazienti, a trattamenti chirurgici molto mirati, a un’assistenza post-operatoria che è assai migliorata e, quindi, permette di intervenire avendo ridotto di molto sia la mortalità sia la morbilità» dice Giovanni Scambia, professore di Clinica ostetrica e ginecologica al Policlinico Gemelli di Roma. La chirurgia nel tumore ovarico «serve sia alla diagnosi sia alla recidiva di malattia – precisa - ma serve soprattutto per arrivare a un atto chirurgico che porti a un residuo di malattia assente, ovvero a una completa rimozione della malattia: attraverso le immagini pre-operatorie e un’attenta valutazione chirurgica, attuata in laparoscopia, possiamo capire quali sono le pazienti che possono arrivare a un residuo di malattia assente e operarle subito, mentre per le altre iniziare cicli di chemioterapia al fine di citoridurre il tumore e operarle dopo».
Il sostegno di un’Associazione e la relazione con lo specialista sono i punti fermi del percorso di cura sin dalla diagnosi: «La donna soprattutto all’inizio, quando non c’è ancora la diagnosi ma c’è il sospetto, è lasciata sola, in balia delle proprie emozioni, delle paure, dei sentimenti contrastanti che si fanno strada a poco a poco e che a volte sono di ostacolo persino al racconto dei sintomi e a una diagnosi precoce» saostiene Albachiara Bergamini, presidente di Mai più Sole. Le Associazioni «possono essere di grande aiuto in questa fase», ma un’altra figura di riferimento è il ginecologo «con il quale la donna deve restare in contatto anche dopo la menopausa e che dovrebbe istruire le donne sui campanelli d’allarme del tumore ovarico, sulla necessità di eseguire i test genetici in caso di familiarità per tumore della mammella e dell’ovaio e anche sulla necessità di eseguire l’ecografia transvaginale almeno una volta l’anno».
In questi anni insieme agli approcci terapeutici e diagnostici molto è cambiato anche nell’attenzione alla qualità di vita delle pazienti. Come spiega Manuela Bignami, direttore di Loto, «sono molti i fattori che possono aiutare la qualità di vita delle donne con tumore ovarico: il primo riguarda l’accesso a un supporto psiconcologico lungo il percorso di cura; il secondo è la cura del proprio corpo e del proprio aspetto, che rafforza l'autostima e le motivazioni necessarie per fronteggiare la malattia; terzo, l’attività fisica che aiuta in modo significativo il recupero post-operatorio; non va trascurato inoltre l’impatto del tumore ovarico sulla vita di coppia: è necessario incoraggiare le donne ad aprirsi, in modo da aiutarle a superare i momenti più difficili». Loto lo fa offrendo alle pazienti, ai caregiver e alla famiglia sedute gratuite di psiconcologia con psicoterapeute esperte, e interventi specialistici per le complicanze che subentrano a causa della menopausa chirurgica.
Per il terzo anno GSK rinnova la propria partnership con le Associazioni e la comunità scientifica in questo progetto per consolidare nella popolazione la cultura e la conoscenza sul tumore ovarico.
«GSK è impegnata da alcuni anni nell’area onco-ginecologica – ricorda Sabrina De Camillis, Head of Government Affairs & Communications di GSK – un’area di primaria importanza per l’azienda alla luce del considerevole investimento in ricerca e sviluppo in questo campo. Dopo il successo delle precedenti edizioni della campagna abbiamo deciso di continuare a supportare questa iniziativa perché crediamo fortemente nella necessità di informare le donne, di fare prevenzione e creare consapevolezza su una patologia subdola come il tumore ovarico. Attraverso iniziative come questa vogliamo raggiungere tutte le donne che si trovano ad affrontare il percorso di malattia, grazie alla consolidata partnership con le Associazioni di pazienti impegnate sul tumore ovarico che anche quest’anno hanno dato il patrocinio a “Tumore Ovarico. Manteniamoci Informate! Da donna a donna”».
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